Il “Change Management” in Azienda e la sua difficoltà di attuazione è un tema che mi sta molto a cuore. Da sempre lavoro nelle Risorse Umane ed ho sempre visto che qualsiasi sia la richiesta di cambiamento (dalle modifiche procedurali all’introduzione di nuove piattaforme fino ai cambi culturali) le persone fanno fatica ad adeguarsi, nonostante si cerchi spesso di facilitarne il processo .
Ora il cambiamento è diventato la variabile fissa del Business model organizzativo ergo: le persone sono spesso in affanno continuo.
Le motivazioni possono essere diverse e dipendono dalla maggiore o minore capacità di adattamento, dalle differenti personalità, dalle esperienze vissute e dalle aspettative ma anche dalla perdita di privilegi o di status professionale. Basta poco, a volte per andare in ansia:
Io lavoro vicino al posto dove vivo e l’azienda cambia sede.
La procedura di accesso ad un sito viene automatizzata ed io, alla reception, mi sento tagliato fuori
Cambiano i turni o il team ed io devo misurarmi con nuove persone
L’azienda chiude, il reparto chiude, il Marketing viene accentrato a Parigi
Sono esempi semplici apposta, tutti ci siamo passati e soprattutto ci viene detto che il cambiamento fa parte della vita. Ed è vero!
Nascita, adolescenza, maturità, menopausa o andropausa, senilità: l’essere umano nell'arco della sua vita attraversa molteplici fasi con la conseguente necessità di adattarsi a nuove identità
Il ciclo vitale di una pianta è scandito da alcuni momenti principali: la germinazione, la fioritura, la maturazione dei frutti, la senescenza. Il Cambiamento Climatico, ultimo tra i tanti.
Ogni cambiamento comporta dolore, impegno e fatica, perché dobbiamo ristrutturare noi stessi (in maniera più o meno importante) per comprendere e riadattarci alla nuova condizione. Eppure, in Azienda, non mi è mai capitato di sentire la parola DOLORE, al massimo si parla di IMPEGNO e FATICA , quest'ultima declinata spesso come una “colpa”.
Insomma, ho pensato, non è che forse cerchiamo di gestire in modo solo razionale (e quindi trattare come un dato) anche cose che razionali non sono (le emozioni, i sentimenti, le paure) e andrebbero gestite in modi diversi?
Non è mia intenzione scrivere una apologia della staticità. Anzi, al contrario vorrei che questa mia riflessione potesse essere di aiuto nell’impostare una relazione più vera con le persone, dove la loro sofferenza venga “accolta”, considerata “normale” e magari “verbalizzata”
Dare il nome gusto alle emozioni è il primo passo per gestirle.
Bisognerebbe, inoltre, dare alle persone gli strumenti per vivere in un mondo che cambia in continuazione: accettare che un ambiente organizzativo possa essere più fluido, con ruoli meno definiti, con procedure facili da modificare, con regole meno rigide. Fino ad arrivare ad accettare l’errore come parte dell’apprendimento. Un ambiente AMICO, di cui potersi fidare.
Io conosco ed utilizzo due strumenti che possono facilitare il cambiamento:
il Coaching, a disposizione delle persone , per aiutarli a superare i momenti difficili, quando ne sentono il bisogno e
La conoscenza e l’utilizzo del Business Model You , strumento che facilmente ed in modo intuitivo può comunicare il cambiamento, sia nella dimensione organizzativa sia nella dimensione personale (come contribuisco e cosa mi viene chiesto di fare per contribuire)
Lo sviluppo delle persone è lo sviluppo delle organizzazioni
Ho volutamente scelto una immagine forte per comunicare il cambiamento necessario, mettendomi in gioco in prima persona: si tratta del mio cane, e del corso della sua vita. Se penso quanto sia cambiato e con quale dignità e accettazione di sé stessa, mi viene da pensare che sia davvero molto più brava di me, nel Change Management !
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